Mauro Pisini – «Colles» e altri versi

Colles

Haec lux, lac pressum foliis subtilibus, ambit
gressus amborum, dum vitam his tradimus, atque his
nulla vibrat viridis, zephyris, tunc, mitibus, aura,
sed tua verba in me deflagrant, excita luce,
quod te diligo, amans quidquid sors ipsa paravit
nobis, contra nos, tenerum per gluten amoris.
Tum, cordis pulsus crystallina terra videntur
quae redit ad vitam, post ardua nempe superstes,
et quoque iter nebulae levius patet, inde, vacillat
haud secus ac velum, dum sudum flectit ubique
lucis anhelitum agris, quibus ultimus emicat, en, sol
hic, ubi nunc habitant non nostra silentia colles
curvos, heu, nimium sub amari pondere caeli,
October quod mensis avet celare quotannis
quodque, tamen, pulsat super aegri veste teporis…

Questa luce, latte impresso su foglie sottili, / avvolge i nostri passi, mentre ad essi affidiamo la vita e, proprio in loro, / l’aria non è più frizzante, come quando il vento era mite, / invece le tue parole deflagrano in me, spinte dalla luce, / perché ti amo e amo qualsiasi cosa che il destino ha preparato / per noi, contro di noi, nel vincolo struggente dell’amore. / Allora, le pulsioni del cuore sembrano una terra di cristallo / che torna a vivere dopo giorni difficili / e anche lo scorrere della nebbia diventa più leggero, poi, riprende a ondeggiare / come un velo, mentre il sereno piega ovunque, sui campi, / il respiro corto del giorno, su cui brilla l’ultimo sole, / qui, dove ora abitano i colli silenzi che non sono nostri, / piegati sotto il peso di un cielo amaro / che ottobre cerca, ogni anno, di glissare, / ma che pulsa, comunque, su quella patina di tepore stanco…



*

Un macaone
mi tocca e sparisce,
voglio stringerlo, fermarlo,
ma sfioro appena i suoi colori
e non lo vedo più.


*


L’idea di mare
vuole la sabbia ferma,
i corpi stesi
sotto l’ombrellone: solo il vento
è un libro aperto,
sia pure con qualche insetto,
che si muove in fondo ai piedi,
mentre imparo a non cercare niente
nell’aria che attraversa l’aria,
si isola dal mondo.


*


I tornanti salgono tra curve impervie
e insetti proiettati su macchie di timo,
mentre, a un tratto, vedo un fiore,
strano di forma e odore,
che accompagna il mio respiro
verso grilli nascosti ai margini,
in un via vai di sguardi
che non posso decifrare,
mentre li sento saltare tra i rovi
cui non voglio avvicinarmi.


*


Nonostante la nebbia,
qualche sprazzo di luce mi scivola sugli occhi
e mi accompagna tra gli olivi:
presto, il cielo sarà solo una lavagna di nubi nere,
come corvi sul granturco,
mentre il freddo
resta ancora in disparte
a contare le foglie
che, sulle querce, non cadono mai,
neanche da secche.


*


Il senso di realtà si complica
in queste suggestioni imprevedibili
di marzo, in cui si fa notare
la trascendenza del cielo
con brezze pungenti e nuvole schiacciate,
quasi fossero energia che si deforma
nei fiori di giunchiglia,
sbocciati a centinaia
per la felicità di api
e calabroni.


*


L’aria goccia sull’asfalto,
più umida del fiume
e dei ciliegi che sfioriscono piano,
dietro il chiosco dei giornali da cui dipende il peso
di tutte le sciocchezze che oscurano la mente,
mentre maggio esplode in un verde sfrenato,
anche le rose, in cortile,
lanciano bocci tra foglie tenere e paonazze,
nel sole che tutela ogni bellezza,
mi scalda le mani.


*


Un fiore carnoso
che, solo a guardarlo, dà grande soddisfazione,
si proietta tutto rosso
in questi occhi assenti,
in questa vegetazione incerta…



*


Nella notte del mio compleanno

In queste strade vuote,
in questo cielo terso
sento il tempo che non posso perdonare
e mi sorprendo a conversare
con la croce di Pasqua
sul colle di Santa Firmina.
Neanche un gatto per strada,
né qualcuno che passi
e sia ubriaco come Luca,
che suona il campanello di sua sorella
alle cinque del mattino,
chiamandola per nome,
non perché abbia bisogno di qualcosa,
ma solo per svegliarla
e sentirsi apostrofare
con parole irripetibili.
Almeno potessi vedere
la stella del mattino,
come quella notte a Patmos, in cui,
sdraiato su una panchina,
ce l’avevo davanti agli occhi,
ineguagliabile…
Allora, mi separavo da ciò che avevo dentro,
ora, non posso separarmi
neanche da me stesso
e ciò che sono stato si consuma
nel rumore di un treno in corsa,
come se questa notte
mi chiedesse di capire il buio,
perdonare la nettezza del gelo.

27 aprile 2020.






Nota
Colles, pubblicato con il solo testo latino nella rivista ‘Melissa’, n. 199, p. 14, Marneffe (BG) 2017, viene ora accompagnato da una traduzione dello stesso autore; gli altri versi, invece, sono completamente inediti.

Mauro Pisini (1962) insegna Lingua Latina e altre discipline letterarie sia presso l’Università Pontificia Salesiana sia al Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma.
È stato più volte premiato nei concorsi nazionali e internazionali di poesia latina, in particolare, nel Certamen Capitolinum, Certamen Catullianum, Certamen Vaticanum.
Ha pubblicato, in italiano, i libri di versi: La confidenza illuminante (1987), La ferita in Largo (1991); e le raccolte: Nel delta delle vene (1991), Nero (1993), Il quartiere dei profumi (1998), Cronache di un mese oscuro (1999), Il dolore può essere accusato (2005), Mare (2016), Fine di un anno (2016), Trasparenza (2020).
In latino, Murmura noctis (1993), Meteora (2008), Comminus (2014) e la raccolta Album (2006).
Sue poesie, italiane e latine, sono apparse, dal 1980 ad oggi, nelle riviste Arx, Atelier, Erba d’Arno, Latinitas, Mas, Nuovi Argomenti, Parallelo ’38, Pietraserena, Semicerchio, Storie, Titus, Vox Latina e altre.