Bulb – TheDollMaker

L’edizione di Novembre per i lettori di Bulb vi porterà in uno scenario insolito! L’artista Chiara Chemi, in arte TheDollMaker è la protagonista del poster di questo mese e ci propone un estratto dalla sua serie di illustrazioni sul mondo delle MMA. Sbem!

LGBTQMMA – Inchiostro su carta. Rivisitazione dell’iconica foto rappresentante l’epilogo del match tra Muhammad Ali e Sonny Liston.

L’edizione di Novembre per i lettori di Bulb vi porterà in uno scenario insolito! L’artista Chiara Chemi, in arte TheDollMaker è la protagonista del poster di questo mese e ci propone un estratto dalla sua serie di illustrazioni sul mondo delle MMA. Sbem!

Il lavoro è un tributo al celebre scatto di Neil Leifer al match di boxe che vide nel 1965 scontrarsi Muhammad Ali e Sonny Liston.

Con la serie di illustrazioni da cui è estratto il poster di Novembre, TheDollMaker ci mostra un nuovo modo per declinare l’immaginario delle arti marziali nelle sfumature di un simbolismo ironico e controverso, quasi perturbante; e di inserirlo nel contesto della lotta femminista con uno stile unico che ammicca alla underground comics e all’art brut.

La decostruzione sembra l’unico processo necessario per studiare le abitudini di una generazione che non si chiede più il perchè delle cose ma agisce perchè “così si fa”; ciò si manifesta attraverso l’espressione della grettezza e della rabbia e la demolizione degli stereotipi del femminile.

Altri estratti dalla serie

TheDollMaker

Visual Artist attiva soprattutto nel settore musicale, ha realizzato artwork e videoclip, presentati su
importanti riviste (tra cui Repubblica, Rumore, Indie-eye, New Noise Magazine) e in festival cinematografici, tra cui il prestigioso Asolo Art Film Festival. Il critico e regista Michele Faggi le ha dedicato alcuni speciali e interviste.
A 16 anni vince un concorso Panini Comics e resta in contatto con l’editor Elena Zanzi; ma, folgorata
dall’audiovisivo, si specializza in regia, scrittura e montaggio per il cinema, esplorando poi anche ogni ambito dell’animazione (ha appreso la puppet-animation con Studio Croma e realizzato video in animazione tradizionale e digitale per etichette discografiche).
Come operatrice video, regista e storyboard artist ha lavorato anche per Tv8, Rocker Tv, Rezophonic e con ONE Championship, promozione mondiale di MMA.
Talvolta espone in galleria.
Ig: thedollmaker_chemi

Arianna Vartolo – Inediti

Conservo la Siviglia dei tuoi sogni:
quella della luce in piazza, nei luoghi
noti – solo da toccare ancora.
Natale e meta del nostro essere
nudi e bambini
tra queste bolle di sapone; rimaste

in tasca.


*


A volte il cibo ti sembra avere
lo stesso sapore dello sperma; il che – pensi
conferma il tuo credo del durare
del seme, del tempo al culmine delle cose.
L’alimento che passa
e bussa sulla lingua a reclamare
la propria forma di stato eterno. Intanto è giorno
e tu rimani con le gambe poggiate alla ringhiera
di quell’unico spazio esterno
che riesci al momento ad abitare.
Continui a masticare in un impasto
denso di sensi di resti di semi rimasti tra i denti
che cerchi in ogni modo di levare. Basterebbe lavarli lavare
ciò che si ancora vicino all’angolo del mento.

Ciò che resiste sulla parte della bocca
che la tua mano ancora tocca a memoria.


*


Voglio giocare a farti
venire avanti – e indietro per un
passo; solo a toccarti
la punta del naso con fili

d’erba bruciata. Agosto
è il tempo dei fantasmi: ogni ombra
ha forma storia posto

qui: noi ne sentiamo la pelle.


*

Hai scavato con i denti il letto dell’unghia
quasi fosse della fossa
il simbolo stretto nel solco dell’ultima terra.
Senti intanto detto il tuo nome al reparto
surgelati: richiamato all’attenzione, eri entrato
solo a comprare funghi – a cercarli
immolati per la cena. Ti ritrovi al contrario distratto
nella degna anticipazione del lutto:
                                            la tua carne a contatto
                                            con gli strati proliferati di spore e miceti.


*


E nel tuo tiepido farti
lattea simile alla consistenza
del riverbero oltre quella finestra

mi chiedi com’è quando parti;
e dei ritorni mi sveli il segreto
– tu; ché io posso solo rispondere

come unico il mare, amuleto
degli uomini, si stenda sulle terre
vergini – tra la luna e il nostro senso.


Arianna Vartolo è nata nel 1998 a Roma, dove vive. Studia Lettere Moderne all’Università “La Sapienza” di Roma. L’aiuto a non morire (Cultura e Dintorni Editore, 2019) è la sua opera prima in versi. Compare anche nell’antologia Abitare la parola: poeti nati negli anni Novanta per Giuliano Ladolfi Editore (2019). Di lei è stato scritto, tra gli altri, su ClanDestino, Pangea, Laboratori Poesia. Alcuni suoi inediti sono apparsi su riviste cartacee e online tra cui Atelier e Inverso.

Lorenzo Pataro – Un inedito

I rovi tra la neve troveranno un’altra luce
un bastone di pastore a scavare gli anemoni
e le bacche marce nella terra

a furia di urlare il mio nome si scheggia
la tua voce o si affila come la punta di ghiaccio
che pende sottile dalla casa diroccata –

allora tu dammi un altro luogo
in cui inselvatichirmi, una pelle di ghiro
mentre dorme nel rifugio fra le travi del pagliaio

chiamami col verso dei falchi o delle volpi
donami le orme del lupo, gli occhi dei piccoli
che cercano la madre e la sua bocca

feroce quando afferra il nuovo nato dalle zampe
e il sangue che sgorga si fa pietra nel gelo,
ossidiana – rovescio del bianco nel bianco.

Lorenzo Pataro, nato nel 1998, vive a Laino Borgo, in provincia di Cosenza, studia Lettere moderne a Salerno. Nel 2018 ha esordito con “Bruciare la sete” per i tipi di Controluna, con prefazione di Eleonora Rimolo, finalista al premio Solstizio opera prima. Sue poesie sono state pubblicate su varie riviste e lit-blog come Atelier, Inverso, Poesia del nostro tempo, Poetarum Silva, Taut editori etc, su La Repubblica nella Bottega della poesia.

Julian Zhara – «Bambino, altalena»

Bambino, altalena


Lo scricchiolio dell’altalena che fisso
dal vetro d’ufficio, di foglie seccate
affogate in attesa del vento e sacchi
vuoti di biscotti e patate – ieri era festa.
Nel parco c’è ancora un bambino da solo
che scava la sabbia, la ruota non gira,
sembra immobile il tutto, incantato – nell’ieri,
di ieri soltanto lattine schiacciate di coca
e avanzi, gli unici fischi lamenti risate suonano
distanti, le insegue il profumo di spezie e pane
sfornato, il bambino non alza gli occhi,
misura la terra, chissà cosa cerca, da ore.
Lo vado a trovare finito il turno, gli chiedo
hai freddo, lui tace e continua a scavare,
il lampione è lontano, due dossi ai lati,
la terra è nera, soltanto qualche vermetto
riflette la luce arancione, i fanali delle auto
proiettano le ombre sul parco,
le invitano al gioco, del resto il silenzio.
Il suo ansimare, mi taccio, lo osservo,
si placa, si volta, mi fissa, mi ci specchio,
lo riconosco: il bambino pare sia io;
mi dice, questa è la fossa, adesso decidi
chi di noi due la deve calzare giocando al morto –
non io, non io

Poeta, performer, organizzatore di eventi culturali, Julian Zhara è nato a Durazzo (Albania) nel 1986. Si trasferisce in Italia nel 1999. Nel 2014 partecipa con un progetto di spoken music a Generation Y, al MAXXI e nell’omonimo documentario andato in onda su Rai 5. Dal 2013 al 2016, cura assieme il festival Andata e Ritorno e per Cà Foscari un ciclo di presentazioni e convegni. Nel 2016 gli viene assegnato il Premio Internazionale di Poesia Alfonso Gatto per i giovani, cura la direzione artistica del festival di poesia Flussidiversi/9. Sue poesie sono presenti in La poesia italiana degli anni Duemila (Carrocci, 2017) di Paolo Giovannetti. Nel 2018 esce per Interlinea il suo primo libro di poesie: Vera deve morire. Vive, lavora e scrive a Venezia.


Foto di copertina scattata da Alice Tumiati

Marco Vetrugno – Un inedito

“baratro infernale questo foglio,
bianco d’un impossibile messaggio”
Tommaso Landolfi


“Il silenzio del foglio bianco
è il mio luogo eterno”
Delmore Schwartz

Noia liquefatta
presenza indecifrabile
presenza ferma nello stomaco

indebolito
esausto
sull’orlo

una sola sensazione
un solo colore
invade

sono materia bianca.

Inoculazioni di bianco
metamorfosi bianche
sferzate di bianco
trittici bianchi
bianche oscillazioni
bianco martirio
neurologia bianca
bianco Ser.T
bianco nelle vene
nervi bianchi
pupille bianche
cicatrici bianche
sangue bianco

il mio sangue è bianco

piove bianco
fumo bianco
sputo bianco
bianco orgasmo sulle tue labbra bianche
il tuo bianco imene
la tua lingua bianca

orale e scritto: bianchi
scrivo
scrivo
scrivo bianco

la mia tesi bianca
la mia bianca antitesi
il mio atteggiamento bianco
la mia bianca attitudine

il tessuto cerebrale: bianco

dama bianca
Niña blanca

la morte è bianca

non mi disfo del bianco
del bianco non mi disfo

il muro è invalicabile
il mio muro bianco

seduto
rimango seduto

non ho possibilità
possibilità di sorta

nella mia cella bianca
ho un foglio

non sfuggo mai a me stesso
non sfuggo
non scappo più

l’illusione è illusa
disillusa
la mia bianca disillusione

non resta che ricominciare
riprendere
andare a capo
a capo

sempre a capo

tutto pur di non deflagrare
tutto pur di non distogliere lo sguardo

io sono fermo
fermo e presente
immobile nell’assenza

ricomincia Marco
ricomincia
non ti fermare
non ti fermare

non ti puoi più fermare
la fermata è ferma
ferma e lontana

le mie strade bianche
la mia ombra bianca
la mia lama bianca
la mia nausea bianca
la mia nausea

la mia nausea.

Marco Vetrugno è poeta e drammaturgo.
Ha pubblicato quattro raccolte di poesia e due monologhi per il teatro, l’ultimo “Apologia di un perdente” per Elliot (2018).
Nel 2020 ha scritto insieme al poeta Domenico Brancale, “Metromania Bacon/Artaud -per un teatro che non andrà mai in scena-” Edizioni Prova d’Artista, in 36 copie numerate.

Eliza Macadan – Un inedito

Joyce ti sbatteva
la porta in faccia e
dettava al marito
di turno una terzina
mentre la tua testa
sfumava scelta da Dio
per fermare le piogge
chimiche del secoloastro
ti assaliva il prurito
insetti sciamanti
sciamani fili di sangue
sbocciavano
all’angolo della bocca
una verità nuova di zecca
metteva la museruola
al poeta patriota
ora le pallottole bucano
gli schermi liquidi
del mio oblò

Eliza Macadan (n. 1967) vive a Bucarest e scrive in romeno, francese e soprattutto in italiano. Le sue raccolte di poesia hanno ricevuto vari riconoscimenti in Romania, Francia e Italia (Premio Léon Gabriel Gros 2014 per “Au Nord de la Parole” e “Anestesia delle nevi” finalista dei premi Camaiore e Fabriano 2015 sono i più recenti). Le raccolte italiane sono: “Frammenti di spazio austero” (2001, 2018), “Paradiso riassunto” (2012), “Il cane borghese” (2013), “Anestesia delle nevi” (2015), “Passi passati” (2016), “Pioggia lontano” (2017), “Zamalek, solo andata” (2018), “Pianti piano” (2019) e “In ginocchio fino all’arcobaleno” (2020).

Jacopo Curi – Un inedito

Notte preistorica, superficie stagnante.
Un nodo si scioglie, il semaforo lampeggia
la terra completa un giro. Quanto pesa
adesso un pensiero, quanto fa rumore
un rumore improvviso.

Non sapevamo che avremmo dimenticato
che tutto sarebbe divenuto inaccessibile.
Almeno si può scegliere di non rimuovere
i contorni di una somiglianza, le frenate
del sangue: quando da piccoli giocavamo
a nascondino accucciati dietro un muretto,
quando c’eravamo nello stesso luogo
puntuali ogni mattina, quando dicevi
mai e per sempre ciò che non è stato.

Nessun ricordo sostiene la nitidezza
di una vista di tetti rossi, realmente rossi
di colline verdi, realmente verdi
ma c’è un più occulto vedere
di cui soli si è i testimoni:
l’aver visto, il voler vedere ancora.


Jacopo Curi (1990) vive in provincia di Macerata ed è docente di lettere. Collabora con le associazioni culturali “Versante” (anche come giurato del Premio “Poesia Onesta”) e “Umanieventi” e si occupa di critica letteraria nelle redazioni di Poesia del nostro tempo e Nuova Ciminiera. Con F. M. Serpilli ha curato Poeti neodialettali marchigiani (Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche, 2018). Nel 2019 ha pubblicato L’immagine accanto (Arcipelago itaca). Suoi testi sono apparsi anche su blog, riviste e nell’antologia Abitare la parola. Poeti nati negli Anni Novanta (Ladolfi, 2019) di E. Rimolo e G. Ibello.

Ilaria Palomba – «Rabbia»

Rabbia

una rottura definitiva si è consumata tra lei e il tempo uno ama irridere le differenze dire non capisco non capiamo sei oscura sei il bordo del precipizio mai completamente dentro mai completamente fuori ringhiera in tensione tra la caduta e il picco l’altra ama venirmi in sogno per strapparmi dal letto per sgozzarmi devo fare i conti con la rabbia potrebbe farmi commettere qualcosa di immane e in caso non dovesse riuscirci potrebbe ritorcersi contro di me – accade da più di vent’anni – questa cosa che chiamo la mia rabbia mangia un pezzo alla volta ogni figura nello specchio ogni quanto e io la sto a guardare inerme legata con corde strettissime – afasia minerale – i capelli sul viso fradici la sto a guardare è una crepa e si allarga – le dita infilate nella stoffa e i vermi di cui si riempiono – un intero continente nelle faglie del divano così nel cuore della rabbia i ricordi che ho voluto cancellare le strade buie e il mare e tutte le sue voci e tutti i vostri volti – quando è iniziata questa insaziabile guerra al mondo? quando finirà? quando potrò dire adesso sono fiera di te? quando? non credo potrò mai – la rabbia è diventata una ghiera mi taglia seziona non vuole saperne è un tiranno e non riconosce più nulla – i fiori – ho sempre amato i fiori ma lei li ha odiati amavo le rose e gli iris soprattutto gli iris tanto da farli diventare un nome – il mio – tutte le categorie dell’avere per poi ritrovarmi senza nome – senza neanche un me – posso parlare solo di te che non mi abbandoni mai e vieni ad allagarmi – nel fuoco, lo sai, vero, che dentro abbiamo il fuoco? – non hai più dove non hai più centro perfino il corpo è diventato un ricordo perfino la parola si va sfracellando – il fuoco ha divorato la pelle è un cratere che si spegne – l’acqua un calvario una montagna liquida che spegne ogni strepito adesso stai zitta ricorda tu non esisti ma ti piace per esempio entrare nelle chiese del centro – la Chiesa Nuova – nel trittico di Rubens ritrovi un surrogato della vita è il modo dell’arte di sviarti dal presente ti piace parlare al telefono con una donna che non sentivi da tempo ti piace immaginarti in treno mentre guardi fuori i campi di grano nella luce e poi il sole fino a ferirti la retina staccarla viaggiare nel fondo baluginante della luce dove neanche gli scarafaggi hanno più consistenza dove questa cosa di invecchiare e dichiararsi battuti non significa nulla l’autostrada per la Puglia e le strade sterrate fino al mare dove puoi rivedere certe ombre certe suggestioni di te tra le onde aveva un odore quel mare afflato di miliardi di epoche concentriche e volevi attraversarlo non per arrivare all’altra costa ma per raggiungere il centro della Terra aveva un fondo la visione ed era bucato non poteva finire e la voce non poteva smettere di dire il tuo nome anche se in quel nome non eri più nulla non ti riconoscevo e non ti riconosco più voglio sentire la mano che s’infila nella stoffa raccoglie le blatte che abitano i sottosuoli di tutte le case di tutte le fotocopie di te che ci sono ancora in giro potremmo giocare a sparare – una di loro o tutte – potremmo giocare a disintegrarle una per una di modo che rimanga l’unica – quella che non può fallire – potremmo attraversare il mare per arrivare all’indeterminato del pensiero è una spiaggia nei pressi di Otranto ma il resto non ha più importanza o consistenza d’altronde lo sai che la sabbia non esiste man mano che la sgretoli viene via come la pelle puoi solo tagliarti – ogni granello un coltello – tagliamo il cielo in uno strale di vetro scuoiamo il fondo del cielo per vederci riflessi nel confine è questo confine che mi ferisce mi fa sentire fragile e impacciata e non so più se una vita possa bastare non so più in questo non dire se sono abbastanza stanca da farmela bastare – nonostante le abbia vissute tutte nell’istante – devo decidermi a stare qui per il tempo necessario a convincermi ne sia valsa la pena.

Ilaria Palomba, 1987, pugliese, ha pubblicato tre sillogi poetiche: Mancanza (Augh!), Deserto (Fusibilia, Premio Profumi di poesia, 2018), Città metafisiche (Ensemble); cinque romanzi, tra cui: Homo homini virus (Meridiano Zero, Premio Carver 2015), Disturbi di luminosità (Gaffi) e Brama (Perrone); e un saggio: Io sono un’opera d’arte viaggio nel mondo della performance art (Dal Sud). Attualmente vive a Roma dove sta completando il corso di studi in Scienze filosofiche. Gestisce con Giordano Tedoldi il blog letterario Suiteitaliana.

Foto di copertina scattata da Dino Ignani

Gian Ruggero Manzoni – Un inedito

Guerre, carestie, catastrofi, vortici d’aria e maree
pare che la natura rendano estranea, altra, un migrare lontano
che riversa l’uomo in un angolo, non complice a un sistema…
ma l’uomo applica concentrazione e spalle curve, spalle di fatica
dorso, cosce, quale mulo da soma
e s’impone, contro un destino che lo rende infimo e ridicolo,
sgomento, senza senso, senza scopo, e, di certo, senza ragione.

Gian Ruggero Manzoni (San Lorenzo di Lugo, Ravenna, 1957), scrittore, poeta, artista, teorico e critico d’arte, studioso dei nuovi linguaggi espressivi, ha al suo attivo oltre 50 pubblicazioni con case editrici come Feltrinelli, Sansoni, Scheiwiller, Skirà, Il Saggiatore, Castelvecchi. Quale poeta e artista ha partecipato nel 1984 e nel 1986 ai lavori della Biennale di Venezia. Ha diretto le riviste di arte e letteratura Origini e ALI.

Stefano Simoncelli – «Lettera a una principessa»

LETTERA A UNA PRINCIPESSA


a Valeria M.


Dicono che me la sto cavando
e può darsi sia vero. Leggo, scrivo
e guardo la tua fotografia, l’unica
che ho conservato, carezzandoti
con la punta del dito
mentre sorridi benissimo
come le volte che ti raccontavo
qualcosa di divertente o una sciocchezza
se ti vedevo triste, malinconica, il muso lungo.

“Cosa c’è, principessa?” ti chiedevo
sapendo che la colpa era mia,
sempre e soltanto mia,
ipocrita che non sono altro,
tale e quale a mio padre che detestavo
finendo per imitarlo e amarlo più di me stesso.

Non me la sto cavando. Affondo ogni giorno
un poco, invecchio, stravedo e se allungo
una mano dall’altra parte del letto
o se per uno spostamento d’aria
si spalanca o si chiude una porta di colpo,

se mi sembra di sentire appena un respiro
alle spalle, se sussurrano il mio nome
da qualche parte che non vedo
è a te, principessa, che penso.

agosto 2020.

Stefano Simoncelli è nato nel 1950 a Cesenatico, ma da diversi anni vive ad Acquarola sulle colline di Cesena. È stato uno dei redattori di «Sul Porto», la rivista di letteratura e politica che catturò negli anni Settanta l’attenzione e la collaborazione di poeti come Pasolini, Bertolucci, Caproni, Sereni, Fortini, Raboni Orelli e Giudici. Nel 1981, con la raccolta Via dei Platani (edita da Guanda con la presentazione di Raboni e postfazione di Fortini), ha vinto il Premio Internazionale Mondello Opera Prima. Nel 1989, è uscito il libro Poesie d’avventura nella collana Gli Spilli, diretta da Enzo Siciliano e edita da Gremese. Nel 2004, dopo un lungo silenzio, è iniziato il sodalizio con la casa editrice anconetana Pequod che ha pubblicato la raccolta Giocavo all’ala (Premio Gozzano) e nel 2006 La rissa degli angeli. Nel 2012 è uscito Terza copia del gelo (Premio biennale “Diego Valeri” giuria popolare) e nel 2014 Hotel degli introvabili. Nel 2015 il racconto in prosa poetica Il collezionista di vetri (ed. Italic arte) con fotografie di Daniele Ferroni e la plaquet Notizie interferenze sibili edita dai Quaderni di Orfeo e curata da Marco Rota . Nel 2017 la silloge Prove del diluvio con cui ha ottenuto il premio “Europa in versi“ e “Città di Fabriano“. Nel maggio 2018 ha letto sue poesie nella trasmissione radiofonica “Fahrenheit” ed è uscita la silloge Residence Cielo. Nel 2019, per Italic Arte, la plaquette La paura dei tuoni con chine del pittore Silvano Barducci e introduzione di Mario Santagostini. Nel 2020, con l’inseparabile Pequod, è uscita la silloge A beneficio degli assenti, e gli è stato assegnato il premio Giorgio Orelli/Bellinzona.

Foto di copertina scattata da Daniele Ferroni