Sofia Fiorini – Quattro quartine

Ci sono cose che ispirano gioia
col solo compiersi della natura.
Vorrei fare come vola un uccello –
avere quel sentore di creatura.


*


Come lucertole che abbiano
perso la coda dall’eternità –
come il fantasma di noi stessi
presentiamo la divinità.


*


Ma la cosa più difficile
è amarci lontani –
sentire che in me hai riposto
un tesoro con le tue mani.


*


Anche all’ombra delle nostre ferite,
nel punto cieco delle cicatrici
– non solo sdegnando gli dèi –
si impara occultamente la magia.

Sofia Fiorini è nata a Rimini nel 1995 ed è laureata in Italianistica all’università di Bologna. La logica del merito (Interno Poesia, 2017. Premio Violani Landi sezione Poeti Inediti, finalista al Premio Rimini, finalista al Premio Solstizio Opera Prima 2018, secondo premio al Premio Prato 2020) è il suo libro d’esordio. Suoi testi sono inclusi nell’antologia Abitare la parola. Poeti nati negli anni Novanta (Ladolfi, 2019, a cura di Eleonora Rimolo e Giovanni Ibello). I testi qui presentati sono tratti dal libro inedito La ferita magia.

Arianna Vartolo – Inediti

Conservo la Siviglia dei tuoi sogni:
quella della luce in piazza, nei luoghi
noti – solo da toccare ancora.
Natale e meta del nostro essere
nudi e bambini
tra queste bolle di sapone; rimaste

in tasca.


*


A volte il cibo ti sembra avere
lo stesso sapore dello sperma; il che – pensi
conferma il tuo credo del durare
del seme, del tempo al culmine delle cose.
L’alimento che passa
e bussa sulla lingua a reclamare
la propria forma di stato eterno. Intanto è giorno
e tu rimani con le gambe poggiate alla ringhiera
di quell’unico spazio esterno
che riesci al momento ad abitare.
Continui a masticare in un impasto
denso di sensi di resti di semi rimasti tra i denti
che cerchi in ogni modo di levare. Basterebbe lavarli lavare
ciò che si ancora vicino all’angolo del mento.

Ciò che resiste sulla parte della bocca
che la tua mano ancora tocca a memoria.


*


Voglio giocare a farti
venire avanti – e indietro per un
passo; solo a toccarti
la punta del naso con fili

d’erba bruciata. Agosto
è il tempo dei fantasmi: ogni ombra
ha forma storia posto

qui: noi ne sentiamo la pelle.


*

Hai scavato con i denti il letto dell’unghia
quasi fosse della fossa
il simbolo stretto nel solco dell’ultima terra.
Senti intanto detto il tuo nome al reparto
surgelati: richiamato all’attenzione, eri entrato
solo a comprare funghi – a cercarli
immolati per la cena. Ti ritrovi al contrario distratto
nella degna anticipazione del lutto:
                                            la tua carne a contatto
                                            con gli strati proliferati di spore e miceti.


*


E nel tuo tiepido farti
lattea simile alla consistenza
del riverbero oltre quella finestra

mi chiedi com’è quando parti;
e dei ritorni mi sveli il segreto
– tu; ché io posso solo rispondere

come unico il mare, amuleto
degli uomini, si stenda sulle terre
vergini – tra la luna e il nostro senso.


Arianna Vartolo è nata nel 1998 a Roma, dove vive. Studia Lettere Moderne all’Università “La Sapienza” di Roma. L’aiuto a non morire (Cultura e Dintorni Editore, 2019) è la sua opera prima in versi. Compare anche nell’antologia Abitare la parola: poeti nati negli anni Novanta per Giuliano Ladolfi Editore (2019). Di lei è stato scritto, tra gli altri, su ClanDestino, Pangea, Laboratori Poesia. Alcuni suoi inediti sono apparsi su riviste cartacee e online tra cui Atelier e Inverso.

Beatrice Zerbini – Poesie

– Non mi tolga tutto il lutto, dottoressa,
me ne lasci la metà;

io non voglio che il mio cuore
sia sgombro per intero,
mi lasci la mancanza:

faccia male di notte,
se non dormo, ma se dormo,
se possibile, vorrei
non svegliarmi nel buio,
come se
non potessi respirare.

Mi tolga
l’impossibile che è che non si possa
più ascoltare la sua voce
e lo squillo del telefono mai suo
quando compio un altro anno
e non vorrei.

Mi lasci continuare
a guardare fissamente

se qualcuno beve
il caffè nel vetro

e faccia che io pianga
sulla torta di riso;

mi tolga il grido, se può,
la testa che sbatte,
il nero che fa
la fine.

Non mi resta che
la mancanza che è:
e se è il dolore che riempie
come un corpo
il mio corpo,
me lo lasci per metà.

Non voglio perdere
che ferisca
la lama che non taglia dei suoi occhi;

tolga il lutto che inginocchia,
che non crede, che mi chiude
in casa.

Mi lasci che mi facciano
male i fiori,
ma non tutti,
solo quelli
arancioni.

(inedita)


*


A chi posso dirlo
che non mi hai mai amata?

A tua mamma?
Posso dirglielo,
ché ti sgridi,
ti applichi l’educazione degli schiaffi,
tardivamente,
ti metta in un collegio,
più severo,
più diffamante,
più giusto e violento

degli occhi bui
con cui vedo ora
l’Universo guardarti,
scuotendo il suo capo di stelle spente,
inutilmente, sommariamente;

che ti corregga
finché non mi ami davvero
e impari a usare le parole,
che sono armi e veleni,
altroché rosolio,
altroché amoremio?
Posso?

Che il tuo amore non era vero
e comunque non eterno,
come dicevi tu,
posso dirlo ai carabinieri?

Alla polizia municipale
ai vigili del fuoco
al perito
al prefetto
al giudice di pace?

Serve dirlo ai tuoi amici tutti,
ché ti deridano molto,
fino a spiegarti il pianto,
prima il tuo,
poi il mio?

Oppure al mondo intero,
ché ti guardi con sufficienza e male,
additandoti
come
avessi ammazzato ogni amare,
avessi compiuto un genocidio
di vecchi baci in strada,
una strage dei giorni insieme,
truffa aggravata ai danni.
delle mie credulità?

O rimane tutto così?
Sordo muto,
senza forza nelle braccia,
sbigottito e solo, disamato,
niente,
come fosse lecito e normale
amare fortemente
e poi piano
e poi più.

(da In comode rate. Poesie d’amore, ed. Interno Poesia, 2019)


*


A un passerotto

Che cosa vuoi dalle mie rose?
E dove guardi?
Io guardo te, fisso.
Conto, con numeri a caso,
il poco che manca a che tu
mi voli via, trasformando,
con la tua magia sfacciata,
il movimento, il suono,
la vita,
in un vaso lasciato.

(da Mezze stagioni, ed. AnimaMundi Edizioni, 2021)

Beatrice Zerbini è nata il 17 gennaio 1983 a Bologna, città che le ha permesso, già̀ dal 1987, di dedicarsi allo studio del ritmo e della parola, grazie al celebre coro, diretto da Mariele Ventre, di cui ha fatto parte. A otto anni, ha iniziato ad avvicinarsi alla lettura e alla scrittura di poesie.
Nel 2006, ha aperto la pagina online di racconti tragicomici, e di poesie “In comode rate”, ma solo nel 2019, incoraggiata dai riconoscimenti da parte di alcuni critici, ha cercato e ottenuto la pubblicazione. In comode rate. Poesie d’amore (edito da Interno Poesia) è la sua opera prima in versi, ad oggi alla IV ristampa.
Testi e recensioni della raccolta sono comparsi in importanti riviste poetiche e in trasmissioni radiofoniche e televisive (Tv7 – Rai Uno, il Sabbatico – Rai News 24, Fahrenheit – Rai Radio 3). È stata ospite di diversi Festival, tra cui il PoesiaFestival, presentata dal Prof. Alberto Bertoni.
A giugno 2021 è uscito il libro Mezze Stagioni, una piccola raccolta di prose e suggestioni poetiche (per la collana Piccole Gigantesche Cose della casa editrice AnimaMundi Otranto). Dall’inizio del 2020, insieme alla musicista Alicia Galli, sta inoltre dedicandosi ad un progetto a sostegno delle famiglie dei malati e delle malate di Alzheimer, diventato, nella primavera 2021, anche uno spettacolo teatrale di musica e poesia, portato in diverse piazze del territorio emiliano-romagnolo.

Pietro Edoardo Mallegni – Inediti

Senza titolo 3

Ancora, porto
il buio di fronte
ai miei occhi.

Lacrima al tempo,
fama, il taglio,
incide la sabbia
di questa spiaggia,
il cui mare
sfocia nelle mie
piccolezze.

Ed il male che sento
è eco del vostro silenzio,
è riflesso del macabro.

Nelle risacche
dei vostri sorrisi,
provo ad affogarmi:
in bocca solo la sabbia
ed il sale del mio tempo.


*


Anniversario

Sorge dalla terra,
il tempo per negarsi
il tutto della vita.

Si deprime il pensiero,
demoliscesi l’anima.

Ed è meraviglia,
questo eterno dolore.


*


L’inno dei giovani suicidi

Occhi a terra,
promessi,
all’inferno dai cieli neri;
vampiri d’emozioni,
ci proviamo a chiamare;
e come i deboli, delle menti,
solo amaro possiamo donare.

E Dio, ancora,
tarda a spiegare,
annichilitosi, tra le nuvole,
sperar, sembra
che, l’affitto d’una vita,
lo si debba pagare.

I piccoli rigagnoli,
d’acqua, si vadano,
a macchiare sulla terra,
provando a colorare.

Ignare crescono le rose,
sulle nostre carogne
e veda l’uomo,
che qualcosa sapremo amare.

E i nostri fiati,
all’inferno sulle candele,
vadano a buffare,
peggio della vita,
neppure la dannazione,
può sembrare.

Pietro Edoardo Mallegni è nato a Carrara il 1 luglio 1995. Fin da piccolo nutre due grandi passioni: la cucina e la scrittura, amori che lo porteranno a intraprendere professionalmente la strada del cuoco e più marginalmente quella dell’appassionato scrittore di poesie. Nel 2013 ha pubblicato con la casa editrice Marco del Bucchia la sua prima raccolta, intitolata Il dedalo in me, nello stesso anno vince il premio “Michele Mazzella” con l’atto unico Geshua e il crollo dell’io, due anni dopo pubblica un’altra raccolta intitolata Il Dio Dada. Dal 2014 inizia a viaggiare per lavoro entrando in contatto con le grandi e lussuose cucine dei grandi alberghi, in uno di questi ha conosciuto Giulia la sua compagna. Nel 2017 è diventato babbo e ha deciso di tornare a vivere nella sua città natia. Tra il 2019 e il 2020, ottiene alcuni riconoscimenti tra i quali “ Menzione al merito per il concorso Internazionale di Poesia Fëdor Dostoevskij” ed è “ Poeta Finalista del Concorso Internazionale di Poesia Il Federiciano”. Nello stesso periodo escono due sue raccolte di poesia intitolate Neurocidio e Il nulla, rispettivamente pubblicate con le case editrici Limina Mentis ed Europa Edizioni.

Vernalda Di Tanna – Inediti

Nutrimento disumano

La distanza allatta ogni domanda,
spettina la pelle. E la tua lingua,
stiracchiata, sussurra una voce
disumana. Resta a galla una rete
spoglia d’acqua. Se ami il giorno,
rischi di fraintendere le stelle: il callo
della malinconia è la doppia
vita che sa fingere la nostalgia.


*


Croce e delizia

Disumano inganno un canto
semina nostalgia. È croce
l’insegna di ansiose
delizie che recano affisse
sulle vetrate le chiese
di campagna. Insistono
rossori tra i nodi:
spine, fiori tra i rovi.


*


Se mi arrivasse infame a terra
un alito di sera, la conferma
del tuo odore appena colto –
in una scusa buia, nuda carezza –
ci gonfierebbe i cuori come cupole.
Ma non è luce in me che non ti grida:
sbalordisci la pelle e distogli
l’attesa dalla promessa intuita.
I frutti a terra e la luce che li irradia.

Vernalda Di Tanna (Vasto, 1997), laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” di Chieti, è studentessa di Filologia Moderna. Nel 2017 riceve il Premio poeta emergente alla XXV edizione del “Concorso nazionale Scriveredonna”, organizzato dall’associazione Tracce di Pescara. È presente nell’antologia Alessandro Quasimodo legge I Poeti Italiani Contemporanei. Vol. 1 (Aletti Editore, 2018), con un testo che è stato anche interpretato dalla voce di Alessandro Quasimodo (https://www.youtube.com/watch?v=qbf3cr7a7r4). Dal 2019, è redattrice del lit-blog Laboratori Poesia. Suoi inediti sono apparsi su riviste e blog, tra cui clanDestino, Interno Poesia, Poetarum Silva e laRepubblica – Milano (per la Bottega di poesia, a cura di Maurizio Cucchi), Inverso – Giornale di poesia.

Gianluca Ceccato – Inediti

Tremare è come mordere la fede
di un luogo senza nome dietro
a muscoli, organi e ossa,
dove restare è comunque
attraversare le umide mattine,
brevi ruote del tempo.


*


Procreare carne viva rimuta il clamore del primo cancello,
quello in cui fummo fratelli desiderati,
madri scomparse, padri raffermi al latte dei giorni,
d’ora in ora acido conservatore ai canali delle mani che due sono, soltanto due,
la destra all’invisibile, la sinistra alla carezza che ci fa bambini la sera,
quando ancora nuotavi e il vento ti respirava la schiena dalle stanche lotte.


*


Vorrei dirti:

Ho ritagliato me stesso, una volta al petto, poi dritto allo specchio,
lì dove non mi vedo giovane ma putrido vecchio,
un orecchio alla veranda, un braccio al corpo della notte,
la sua mano a guardare il buio,
dove l’ascolto non è altro che interminabile parola, insostenibile attesa.

Ti dico:

Su una collina il funerale, una famiglia al dirupo, poi dritti a casa,
lì dove non si declama il verbo ma marcia frase, un cucchiaio a scavare gli aggettivi,
un puzzo a demarcare il lutto, la sua scia a detonare le discussioni,
dove domani e sempre ci sarà un inutile vanto, ovvero la santa pretesa di avere una logica nel dolore,
associare termine a parola, sputare la grammatica agli sconosciuti.


*


Lasciatemi così
a dispiegare l’avvenire,
aggrappato alle costole
di mia madre,
solo e sconfitto
alle voglie dell’alba.

Lasciatemi così
a ricongiungere i punti,
martoriato alle mani
di nero inchiostro,
defunto neonato
alle porte del domani.

Gianluca Ceccato nasce il 6 maggio 1997 a Latisana (UD) attualmente vive e studia a Padova. Fin dalla tenera età si appassiona alla poesia partecipando a vari reading tra Pordenone e Udine. Dal 2017 collabora con il sito Brakhu come curatore di una rubrica poetica dal nome “Suburbana” dove racconta la storia d’amore e odio in versi tra verde e urbano. Le sue poesie sono presenti su riviste online come Altrove, Il Visionario, Inverso, Poetry Factory, Poeticous, Typee, Open edizioni, Poeti Oggi e in numerose antologie tra le quali “Poeti Contemporanei” edita da Aletti editore, “IoPartecipo” edita da Dibuono edizioni e “Quadernetti poetici” edita da Sifaperfardelbene edizioni. Nel 2019 è finalista del Premio Tiburtino con la poesia “Una Notte”. Nel 2021 è uscita la sua prima raccolta poetica dal titolo “La Carne dei Muti”.

Antonio Vittorio Guarino – Inediti

a D.C.

D’in poi e dove copre la neve, ora, il freddo corpo di una lattina,
il primo cielo di Dante in alluminio, il ragazzo rannicchiato,
come un feto, nella foto dello spot contro il fumo, stampata
sulla busta di tabacco Winston, a ricordare il rischio della
morte e non la sua certezza, in un forse che è calcolo
di probabilità esposte e rimosse – per un riflesso animale
continuare a vivere, fumare – nell’immagine – senza
didascalia l’uomo sarebbe solo un bambino, un’ecografia
in fase avanzata, una vita. Sul palmo di ghiaccio del paesaggio
offerto al cane artico una lunga pausa che annusa la luna
possibile, i dendriti fioriti dalle rocce, le facce curve e questa
tristezza analogica.


*


Spopolamenti: in questi anni di adolescenze ci hanno
abitati a frotte i corsi, ricorsi storici – rincorse storte
nella terra semper tremata, semper dormiente sul
ventre sognante, incubante, incubata nell’incubo che
preme le veglie abortendole al giorno; il corpo che ne
esce, che se-ne-(e)sce di casa, per la strada, alle tre e vede
l’allucinata piazza, il cielo, la faccia nell’acqua piovana
che fluttua in marcia di barche rovesciate nel porto
di portici dove s-offre la restante parte: tutto è carne
da macello e ignota cosa estesa sul foglio
di una mappa catastale.


*


Ci è morto un vecchio ucraino lì dentro,
mi hanno detto. Cosa i topi rosicchiassero
lui lo rosicchiava lo stesso, il faut bien
manger
tra le coperte messe sul corpo,
i macchinari solitari abbandonati e gli schermi
grigi e bombati dei computer solidali con lo scarto
umano. Un cyborg ucraino o una chimera, oppure
ancora entrambe le cose – che non sono cose
ma viventi per eccesso o difetto. Prima e dopo
della porta una traccia di sangue secco, quasi
scomparsa, indica il percorso dell’incognita
rimossa dall’essere al non essere, o piuttosto
l’inverso, come a Pasqua – è vivo forse.


*


Area interna, la cagna ringhia sul mento del bambino.
Quali organi crescono e si ammalano dentro di noi?
Le spoglie di amianto si incrinano e liberano il veleno
nelle nari degli operai che moriranno poi – sapremo
infatti che la storia era inscritta nel pane che mangiamo,
nella casa che ci caccia alla strada, nella fabbrica abban-
donata, dove lo spettro di Taylor misura il gesto facendo
economia sull’ampiezza del braccio: lo sforzo deve
essere ridotto ma costante, così da consentire al corpo
una lunga performance, l’appropriazione di una cadenza
spoglia di soggetto. Ora, qui, persino questa schiavitù
è stata una promessa, adempiuta solo nel lutto, nella perdita
di un posto a fatica occupato dal morto.


*


e una congiunzione di uscita non c’è, al massimo
un et introflesso che letto al rovescio ritorna “te”,
nulla di ad-giunto o giunto da, cambiando il pre-
fisso in ab (che in latino sta per “da”) ad indicare
una provenienza esterna, aliena, cosmica. Il rest-
ante appagato dorme, da sempre arrivato al suo
orgasmo, che è la costante del soggetto:
riprodursi in se stesso come deietto, liquido
seminale che permane in una crosta incolore
di ejaculazione retrograda, uno spettro al di là
dello specchio, un alone di oggetto. Così nulla
ci ha raggiunti entro il raggio di cento chilometri,
ché la dentale preposta al resto ne occlude l’entrata,
l’ingresso.

Antonio Vittorio Guarino (Napoli, 1985) vive ad Avellino. Laureato in Filosofia presso l’Università degli studi di Napoli “Federico II”. Ha pubblicato: La Vita Beota (Ed. Il Foglio Letterario, 2009), La caduta dalla giovinezza (Onirica edizioni, 2011), La costellazione dell’assenza (Fara 2016), opera vincitrice del VI concorso nazionale Faraexcelsior, e Cronicismi (Oèdipus, 2020). Alcune sue poesie sono presenti su antologie, riviste e siti web.

Lorenzo Pataro – Un inedito

I rovi tra la neve troveranno un’altra luce
un bastone di pastore a scavare gli anemoni
e le bacche marce nella terra

a furia di urlare il mio nome si scheggia
la tua voce o si affila come la punta di ghiaccio
che pende sottile dalla casa diroccata –

allora tu dammi un altro luogo
in cui inselvatichirmi, una pelle di ghiro
mentre dorme nel rifugio fra le travi del pagliaio

chiamami col verso dei falchi o delle volpi
donami le orme del lupo, gli occhi dei piccoli
che cercano la madre e la sua bocca

feroce quando afferra il nuovo nato dalle zampe
e il sangue che sgorga si fa pietra nel gelo,
ossidiana – rovescio del bianco nel bianco.

Lorenzo Pataro, nato nel 1998, vive a Laino Borgo, in provincia di Cosenza, studia Lettere moderne a Salerno. Nel 2018 ha esordito con “Bruciare la sete” per i tipi di Controluna, con prefazione di Eleonora Rimolo, finalista al premio Solstizio opera prima. Sue poesie sono state pubblicate su varie riviste e lit-blog come Atelier, Inverso, Poesia del nostro tempo, Poetarum Silva, Taut editori etc, su La Repubblica nella Bottega della poesia.

Alessia Lombardi – Inediti

Da ragazzina a Napoli mi guardavano
le gambe
………….. il sole
dei quartieri spagnoli
i panni in strada
bruciati dall’inverno.
Poi il sangue
di San Gennaro non si sciolse:
presagio
qualcuno che mi insidia

……………………………….. può esserci
di peggio di questa casa
senza dimora che ancora
non esiste non tua
forse il graffio
dei tuoi occhi mare rapido
di traverso i finestrini.


*


Hai un modo strano
di accarezzare, come si spazza
a terra la cenere l’ultimo
dell’anno
………….. si toglie il sale
impolverato dalle ostriche.
Sembra quasi che asciughi
i giorni, da me,
i mesi di un’altra
visita lontana
…………….. le mani nude
entravano nella biancheria
fin dove l’edera risale
………………………… il tempo
all’origine.


*


Non conoscevo ancora i tuoi peli
del petto
…………. nudo
sacro come una cappella
in fondo al vicolo ti bacio
fino alle ginocchia

a che pensi
quando mi guardi puoi dirmi
quello che vuoi è gratis
a casa dicono
sono come un uccellino
mangio poco
non disturbo
canto sempre

sono fortunato
……………….. è il sei gennaio
farai settanta chilometri
per tornare io trenta
in treno ho sperato
che la porta si chiudesse
con te dentro

…………….. non vivrò
oltre i ventisette
anni sii libero
anche per me.


*


Continuerò ad aspettare. Tutto
è quasi a metà. La domenica
ha di nuovo il sole
tra le gambe
……………… un fischio
si interrompe alla stazione

…………………………………vicina
posso essere vicina
……………………… a te
anche da dove non si vede
il mare senza le pietre
del Miletto alla finestra:
le case
………. che fioriscono
sono sempre spente
rischiarate con poco
dal frigorifero che ronza
di notte
……….. nient’altro.


*


Chiederò al Signore di rinascere
pianta di limone sul terrazzo
di casa tua. Per parlare
con te della vita e della morte
della strada scavata
dal tuo corpo della giovinezza
che non ho mai avuto

…………………………. insegnami
con le mani stavolta
……………………….. a non appassire.

Alessia Lombardi è nata il 20 maggio 1996 a Pontecorvo (FR) ma risiede a San Giovanni Incarico. Laureata in Filologia della Letteratura italiana presso l’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, ha iniziato a scrivere nel 2003. Nel 2014 è stata insignita del 41° premio «La Ciociara» per la Poesia, nel 2017 del 29° premio «Fratellanza nel Mondo». Nel 2016 è stata semifinalista al concorso «CET – Scuola per Autori di Mogol»; nel giugno 2020 è tra i cinque finalisti della prima edizione del concorso nazionale di poesia «Villa delle Ginestre». È critico musicale e live-reporter per il blog «Lo Zibaldone» ed il mensile on-line «Vita Ciociara», leopardista e cantautrice (sotto lo pseudonimo di Crow J).

Luca Gilioli – Inediti

a Te, Donna

a Te, Donna,
tenuta in ginocchio per secoli.

china a soddisfare mariti e padroni,
china costretta a tacere dolori.
china prosciugata fino quasi
a quella ultima goccia,
che traboccando scatenò
la prima parola di riscatto.

e così quelle ginocchia,
che mai divennero piedi,
smisero di toccare il terreno.


*


il terzo burattino*

c’erano una volta tre burattini:
uno di essi ritraeva una mamma,
un altro un patrigno, oscuri i suoi fini,
e il terzo una bimba, vivida fiamma.
sono ancora tra noi quei pupazzini?
sì, però il terzo, vittima di un dramma,
è pressoché del tutto consumato:
per anni gli altri due ne hanno abusato.


* Ispirato a fatti di cronaca



*


Lola

un figliolo che si sentiva figliola,
vïolino in un corpo di vïola,
se ne andò dal Brasile in terra spagnola
per rinascere col nome di Lola.

e se oggi qualcuno la chiama “boiola°”,
lei non dà più peso a quella parola.


° In Brasile termine volgare per definire un maschio omosessuale



*


1° maggio 2020

oggi le campane suonano a morto
– trovan pace la salme in traslazione? –
e in un ciclo aberrato delle stelle

non c’è tregua al salpar di caravelle
che sanno ignota la destinazione.
noi preghïamo prossimo sia un porto.

Luca Gilioli (1984) consegue la laurea in Scienze della Cultura presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Dall’età di sedici anni scrive poesie, con le quali riceve numerosi riconoscimenti in concorsi letterari nazionali. I suoi testi sono presenti oggi su quotidiani, su prestigiose antologie e riviste di settore e su rinomati poetry-blog tra i quali Poesia del Nostro Tempo, Pioggia Obliqua, Poesia Ultracontemporanea, L’Altrove, Limina Mundi, Carteggi Letterari, Il Sasso nello Stagno, Poetarum Silva, Larosainpiù, Limes Lettere, Leggere Poesia, Transiti Poetici, Poetry Factory e Poetrydream. Le sue raccolte poetiche s’intitolano Orionidi (Bernini Editore, 2011), Dodici (Edizioni Il Fiorino, 2012) e Di mossa in mossa (Edizioni Il Fiorino, 2020). In seguito al terremoto che ha colpito il territorio della ‘Bassa modenese’ nel 2012, Gilioli ha curato assieme alla scrittrice Roberta De Tomi l’antologia poetica solidale La luce oltre le crepe (Bernini Editore, 2012). Parallelamente alla collaborazione con varie riviste letterarie, svolge l’attività di correttore di bozze.