Il weekend è il momento perfetto per esplorare le numerose attività di Art City, l’art week bolognese in occasione di Arte Fiera, dal 27 gennaio al 5 febbraio 2023. E noi di spine vogliamo consigliarvi il percorso migliore secondo noi per chi ha voglia di fare una maratona d’arte e destreggiarsi nel fittissimo programma dell’edizione di quest’anno.
Qui vi proponiamo un percorso ragionato, per visitare le mostre centrali del main program accompagnate dalle proposte dei numerosi musei, fondazioni, gallerie e spazi indipendenti della città.
Cartina alla mano, e via esploratori!
Come saprete, il tempo è denaro, per questo motivo il percorso che proponiamo è pensato per cogliere quanti più luoghi d’arte il vostro corpo sarà capace di visitare, all’esploratore è lasciata la scelta di seguirlo nel tempo di un week end all’insegna dell’arte o meno (dipende da quanto è lungo il vostro week end!).
I numeri sulla mappa non sono casuali! Sono esattamente gli stessi riportati sulla mappa ufficiale di Art City Bologna 2023, indispensabile per gli esploratori. Il percorso parte dal Cassero LGBTI+ Center e finisce al Laboratorio degli Angeli dalla parte opposta della città, ma volendo si può invertire il senso di marcia.
Qui la lista completa dell’itinerario con luoghi e mostre in corso:
Cassero LGBTI+ Center, via Don Minzoni 18 – Natalie Djurberg. Putting down the prey (dal 2 febbraio)
MAMbo, via Don Minzoni 14 – Yuri Ancarani. Atlantide 2017-2023 (dall’1 febbraio)
Parsec, via del Porto 48/CD – Christine Bax e Camilla Carroli. Untangle the Jungle (dal 27 gennaio)
Gallleriapiù, via del Porto a/B – Emilio Vavarella. Re:Presentation (dal 27 gennaio)
Studio Ferrari, via Padre Francesco Maria Grimaldi 3/A – ASAP + Studio Ferrari. Scarcity (dal 27 gennaio)
P420, via Azzo Gardino 9 – June Crespo. Acts of Pulse (dal 2 febbraio)
Oratorio di San Filippo Neri, via Manzoni 5 – Lucy + Jorge Orta. Seeking blue gold (dal 2 febbraio)
Fondazione del Monte, via delle Donzelle 2 – Pinuccia Bernardoni. Una felice corsa (dal 27 gennaio)
Da qui dovrete fare una scelta: il dono dell’ubiquità non ce l’abbiamo ancora… e poi che gusto c’è se vi diciamo tutto noi? Prendete il percorso che vi ispira di più e lasciate il resto a un’altra volta… essere pragmatici fa risparmiare tempo, ma per certe cose vale la pena perderlo.
Galleria d’Arte Maggiore G.A.M., via D’Azeglio 15 – Sissi. Trasguardi (dal 27 gennaio)
Galleria Studio G7, via Val’ D’Aposa 4/A – Anne e Patrick Poirier. Apoptosi (dal 27 gennaio)
Galleria Paradisoterrestre, via De’ Musei 4 – Augusto Betti, Alberto Biasi, Calori & Maillard, Angel Duare, Novello Finotti, Pierre Gonalons, Allen Jones, Edoardo Landi, Roberto Matta, Andy Picci, Paola Pivi, Tobia Scarpa, Kazuhide Takahama. Limited (dal 27 gennaio)
Per il percorso di sinistra:
Palazzo Bentivoglio, via del Borgo di San Pietro 1 – Patrick Procktor. A view from a window (dal 1 febbraio)
Pinacoteca Nazionale di Bologna, via delle Belle Arti 56 – Salone degli Incamminati, Giovanni Blanco, Jacopo Casadei, Rudy Cremonini, Domenico Grenci, Enrico Minguzzi, Nicola Samorì. Ex5 (dal 4 febbraio)
Museo della Specola, via Zamboni 33 – Cuoghi Corsello. Mostri. Noi, gli altri, sé stesso (dal 2 febbraio)
Il percorso fa ricongiungere gli animi per la mostra al Labs Contemporary Art, e magari ci scappa anche un aperitivo nel mezzo!
Labs Contemporary Art, via Santo Stefano 38 – Greta Schödl. Il segno traccia del nostro vissuto (dal 27 gennaio)
Alchemilla, via Santo Stefano 43 – Roberto Fassone + Ai Lai + LZ. And we thought III (dal 28 gennaio)
Laboratorio degli Angeli, via degli Angeli 32 – Eva Marisaldi. Guarda Caso (dal 30 gennaio)
Se siete arrivati fino a qui, beh complimenti!
Per gli animi ancora affamati segnaliamo alcune mostre che resteranno aperte anche dopo il 4 febbraio come quelle alla Fondazione Lercaro con opere di Renato Guttuso, Gianfranco Ferroni, Ennio Morlotti e Franco Francese, la Fondazione Mast con Mast Photography grant on industry and work/2023 e il Museo per la Memoria di Ustica con Christian Boltanski.
Per chi ama il cinema la Cineteca di Bologna organizza la rassegna Art City Cinema e eventi al DamsLab in Piazzetta Pier Paolo Pasolini; mentre chi visiterà Arte Fiera non può perdersi la mostra di Jonas Mekas al Padiglione de l’Esprit Nouveau.
Tra gli eventi “off program” segnaliamo le iniziative SSSTAY! una collettiva di performance, e Hard City Bologna e Corneraholic degli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, trovate tutte le informazioni cercandoli su instagram!
Ora, cosa aspettate?! Infilate le vostre scarpe più comode e preparatevi per scoprire la città come solo in questo periodo si può fare!
Nelle settimane tra il 14 e il 25 maggio è andata in scena a Faenza la mostra “Il dizionario della pelle”. Un progetto inaugurato inizialmente presso la Galleria Comunale della Molinella, poi proseguito nello spazio espositivo di Latte Project Space. Curato integralmente da Francesca Cerfeda.
Sabato 21 maggio siamo stati ospiti di Francesca che, dopo la mostra inaugurale di settembre 2021 “Che la festa cominci”, ci ha nuovamente invitati per dare un’occhiata al suo nuovo progetto.
Latte Project strikes again
Nelle settimane tra il 14 e il 25 maggio è andata in scena a Faenza la mostra “Il dizionario della pelle”. Un progetto inaugurato inizialmente presso la Galleria Comunale della Molinella, poi proseguito nello spazio espositivo di Latte Project Space. Curato integralmente da Francesca Cerfeda.
Sabato 21 maggio siamo stati ospiti di Francesca che, dopo la mostra inaugurale di settembre 2021 “Che la festa cominci”, ci ha nuovamente invitati per dare un’occhiata al suo nuovo progetto.
La mostra si presenta come una grande collettiva, che mette in relazione tanti artisti, ognuno con background artistico-culturale di notevole spessore.
Quando si affrontano progetti di questo tipo il rischio è sempre quello di trovarsi davanti una serie di lavori impattati e molto forti, capaci però di raccontare “solamente” la loro storia e di non offrire il proprio ascolto a quella degli altri. Non è questo il caso. Francesca è stata bravissima nella selezione dei singoli artisti, una selezione attenta, silenziosa e non invadente, capace di mettere in dialogo opere di stili diametralmente opposti tra loro come se fossero nate per essere esposte l’una a fianco all’altra. Il filo conduttore che lega ogni lavoro di questo percorso è appunto la “pelle”, una matrice fisica, materna, capace di creare un bellissimo viaggio dove ogni artista accompagna personalmente il visitatore all’opera successiva raccontando un pezzettino del proprio vissuto. Il dizionario della pelle è stata dunque una mostra sensibile, capace di comunicare senza troppe parole, che guida con gli occhi e con le mani nei solchi che il tempo imprime nella pelle, unica e uguale, di ciascuno di noi.
Nella bella chiacchierata che abbiamo fatto con Francesca la cosa che più mi ha colpito è stata che questo progetto risale a una sua personale suggestione di ormai cinque anni fa. Mi ha affascinato molto la pazienza, la costanza e la dedizione con cui lentamente la mostra ha preso forma nel tempo costruendo, artista dopo artista, opera dopo opera, gli strati di pelle che hanno formato il risultato finale esposto.
Ringraziamo quindi Francesca per essere stata ancora una perfetta padrona di casa e non vediamo l’ora di tornare a vedere che cosa Latte Project Space avrà in serbo per questi prossimi mesi.
Hanno esposto le artiste Giulia Lanza, Caterina Morigi, Giulia Poppi & Arianna Zama. Mentre L’opening è stato introdotto dalla performance “Awkward Integrities” dell’Artista Andisheh Bagherzadeh – alla Galleria Comunale della Molinella.
Questo mese Bulb si cala in un’atmosfera molto intima e vi mostra da vicino il lavoro di Arte Cannibale, artista visiva e performer, che per il poster di Gennaio ci ha stregato col suo contributo.
Questo mese Bulb si cala in un’atmosfera molto intima e vi mostra da vicino il lavoro di Arte Cannibale, artista visiva e performer, che per il poster di Gennaio ci ha stregato col suo contributo.
“esplorare i temi della memoria, del corpo e dell’archiviazione come atto performativo di ricerca e di attenta autoanalisi, attraverso il quale indagare e confrontare sentimenti e tracce del proprio vissuto”
Il dittico che vi proponiamo è un estratto da una serie di fotografie dal sapore intimistico che si addentrano nell’archivio dei ricordi dell’artista e si trasformano in una profonda riflessione alla ricerca del Sé. La formula del dittico è uno strumento che rimanda alla definizione greca dei manufatti, composti in modo da piegarsi in due emulando un libro. Da qui il significato intimo del diario, che con una narrazione quasi innata, mette in dialogo due momenti anche scollegati tra loro del vissuto dell’artista e ne crea una nuova forma, sottraendo gli scatti dal loro significato iniziale.
Memoria, corpo, testimonianza, questi i temi su cui Arte Cannibale sperimenta nuovi sguardi, quasi come un esercizio di consapevolezza, ma anche il diritto di poter cambiare idea, ed evolversi come cambia il tempo per non rimanere ancorata a una visione démodé degli eventi.
Altri estratti dalla serie “And I suffer very well”
Arte Cannibale
Classe ’97, artista e performer laureata in scultura all’Accademia di Belle Arti di Bologna, frequenta la specialistica in Studi Performativi e di Genere allo Iuav. La sua poetica è strettamente legata all’attivismo, all’esperienza di genere e all’identità. Ha curato e auto-prodotto alcune fanzine, partecipando a progetti e mostre collettive (Yogurt Magazine, Not my Body, Emotional Fuckers). Nel 2016 ha fondato la pagina Instagram, «Artecannibale», il cui scopo è quello di approfondire il rapporto tra arte, corpi politici e social media.
Spazio Labo’ centro di fotografia ospita in questi giorni la mostra personale I MADE THEM RUN AWAY dell’artista visiva Martina Zanin.
I Made Them Run Away
Spazio Labo’ centro di fotografia ospita in questi giorni la mostra personale I MADE THEM RUN AWAY dell’artista visiva Martina Zanin. Il tema dell’esposizione è il rapporto che l’artista ha con sua madre Giulia. Un rapporto ricostruito attraverso un vero e proprio archivio di ricordi, ripercorso e assemblato tra foto di famiglia testimoni di una figura materna resa più umana che madre.
La prima cosa che si nota è che nelle fotografie c’è sempre una porzione strappata via, simbolo e rappresentazione di rapporti lacerati, di relazioni che vedono Giulia come unica superstite. Partendo dalla presa di coscienza che nessuno di quegli uomini ha lasciato il segno nelle loro vite, Martina Zanin introduce il concetto del MADE THEM RUN AWAY suggerendo l’ipotesi che lei e sua mamma hanno fatto scappare via questi uomini dalla loro famiglia.
Parte della mostra è dedicata anche gli scritti della madre: Lettere a un uomo mai avuto. Una raccolta di lettere a cuore aperto in cui lei fantastica sull’ipotesi delle sue relazioni interrotte, proiettate nella stanza simulando graficamenre l’avazare della scrittura.
L’elemento che unisce tutti questi materiali sono le fotografie di Martina: rielaborazioni di scene di vita quotidiana e aneddoti della sua infanzia che ha cercato di tramutare in qualcosa di visibile, in modo da investigare nel profondo quell’oscura presenza maschile che è stata per lei sempre un mistero.
Il viaggio di I MADE THEM RUN AWAY mostra come Martina Zanin sia un’artista capace di destreggiarsi in diversi ambiti delle arti visive, dimostrando che nell’arte la sincerità e l’autenticità sono ancora valori che fanno la differenza.
“Ho sognato che mi uscivano delle blatte dalle maniche e mi camminavano sulle mani.”
Il poster di Ottobre di Bulb è frutto della penna e degli occhi di Alice Patara, giovane artista e illustratrice dell’Accademia di Belle Arti di Bologna.
L’immagine è un estratto dal suo progetto di fotografia sui sogni, una serie di quindici fotografie che strizzano l’occhio alla fotografia analogica, ma restano ancorate al presente grazie ai disegni digitali che danno vita al mondo onirico dell’artista.
“I disegni rappresentano tutti dei sogni: faccio quasi sempre dei sogni molto realistici, molto spesso con animali come protagonisti. Di solito sono giganteschi oppure sono migliaia, a volte sono aggressivi, a volte sono innocui, qualche volta devo salvarli oppure ogni tanto sono loro che si prendono cura di me.”
In questo nuovo episodio di Zoom abbiamo intenzione di portarvi a fare un viaggio. Un viaggio che attraverserà numerose città italiane come Milano, Bologna e Firenze. A farci compagnia in questo frenetico itinerario sarà Irwin, uno dei più attivi street artist italiani che vanta numerose opere sparse per tutto lo stivale e anche in molte città europee.
Parleremo di cultura urban, di graffiti e di avventure notturne. Come in ogni viaggio che si rispetti, abbiamo selezionato alcune canzoni da farvi sentire nel tragitto. Buona lettura.
D: La cultura Urban nel mondo è da sempre in continua espansione e negli ultimi anni ha decisamente conquistato anche l’Italia, uno degli ultimi baluardi conservatori legato a una concezione molto stereotipata di questo universo.
« Se provavo a spiegarlo a mia mamma diceva “Che cosa?” Che ne sapeva lei di blocchi, flop e fat rosa »
Negli anni ’90 ciò che oggi è considerato cool non era affatto visto di buon occhio dalla maggior parte delle persone. Ora invece è all’ordine del giorno comprare sneakers, ascoltare rap e apprezzare la street art nelle città. Ti va di raccontarci in che modo è cambiato l’atteggiamento delle persone nel recepire il tuo lavoro?
R: Certo, molto è cambiato. Però un feedback che mi accompagna da molto prima che il nostro mondo diventasse cool é che il mio lavoro puó fare da punto di riferimento per chi lo vede. Spesso mi è stato detto che il cane in particolare fa sentire le persone a casa. Trovo che molta piú gente sia interessata ad un lavoro più legato al lettering, alla stratificazione e alle tag. Sicuramente da quando fare graffiti è diventato mainstream si sono confuse molte cose. Da vari generi di stili si sono ramificate diverse strade che hanno i propri follower. Quindi ogni genere ha una vita propria. I nuovi produttori e fruitori non sono preparati e tendono a mischiare tutto. Comunque oggi grazie a molte più persone che seguono i mondo dei graffiti alcuni sono diventati rock star. I miei genitori non mi hanno mai vietato di dipingere. È sempre stato per me un modo per esprimermi e sfogarmi.
D: Il tuo percorso spazia tra Milano, Firenze e Berlino. Il lavoro del writer porta per sua indole a viaggiare molto, infatti non è difficile apprezzare la tua firma, il muso di un cane colorato, nei luoghi più disparati d’Italia. Come abbiamo detto in precedenza oggi è cambiato radicalmente l’approccio delle persone con questo tipo di cultura e, di conseguenza, il lavoro del writer non passa più come atto vandalico fine a sé stesso, ma viene molte volte agevolato dalle autorità che concedono spazi per creare valore artistico nelle città.
« Passi dietro i treni, trattieni il fiato se tremi Per fare il writer non basta che premi La notte consiglia, non parlare: bisbiglia So che per ogni calamità la calamita blocca la biglia. »
Ci troviamo quindi davanti a una situazione dove ora viene resa libera una superficie che in precedenza veniva conquistata sul filo del rasoio. Quale è una delle esperienze più avventurose che hai vissuto per la creazione di un tuo pezzo?
R: Ogni graffito illegale è un’avventura, più o meno pericolosa, con più o meno imprevisti che succedono, spesso prima e dopo l’azione vera e propria. Il progettare un pezzo per un muro che vorresti fare è fatto anche di tour in auto, di incontri pazzi nella notte, di km macinati a piedi o in bici con secchi, asta e zaini di spray per raggiungere posti improbabili. Scappare dalla polizia dà sicuramente tanta adrenalina, con le guardie, che ti giri e sono lontane, ti rigiri e sono a pochi metri. Anche il dopo è eccitante, quando hai fatto il pezzo che volevi, nello spot che volevi, e soddisfatto te ne vai a dormire. Per me tutto questo fa parte della cosiddetta avventura. Una piccola avventura in cui mi sono divertito molto è stata a Berlino. L’inverno scorso ha ghiacciato l’acqua dei canali tanto da poterci camminare sopra, anche se non si può certo vedere quanto il ghiaccio sia spesso. E ti assicuro che nel buio il ghiaccio scricchiola tantissimo. Un altro tipo di scricchiolio l’ho sentito anni prima facendo una tag a rullo sopra ad un cartello sul tetto di una fabbrica abbandonata. Il tetto ha cominciato a rompersi sotto i miei piedi. Il mio amico Ribes che era rimasto giù e aveva solo sentito il boato all’interno della fabbrica mi chiamava per cercare di capire se fossi ancora vivo. Fortunatamente ero vicino al bordo e sono riuscito a sedermi su una parte in cemento. Mi tremavano le gambe. La tag a rullo la feci comunque, bruttissima.
D: I racconti dell’immaginario hip hop sono ambientati nel cuore delle città o nei più subordinati vicoli delle periferie. Stiamo parlando però di zone agli antipodi di un unico ambiente: la giungla urbana.
«Questo schifo di città è come una giungla, e ci sono serpenti, volpi e leoni, e se serve devi essere tutti e tre»
Le tue opere, oltre a trarre ispirazione dal tuo tessuto di appartenenza, si trovano ad animare le città con veri e propri animali, popolando così i muri con una fauna che trova nella giungla di cemento il suo habitat naturale. Come nasce ed evolve il passaggio da writer a street artist e l’utilizzo di questi nuovi soggetti di tipo animale?
R: A dire il vero non sento di aver fatto nessun passaggio. Ho sempre disegnato animali. Non mi definirei uno street artist. Anzi non mi definirei. Faccio fatica ad usare questo tipo di definizioni perché trovo che la realtà sia molto più fluida.
D: Il tuo approccio naturalistico nei confronti di questo tipo di arte mi riporta alle parole che ho letto nella rivista tra/montana dove si elogiava la capacità della street art di trascendere ciò che ci rende schiavi nella società di oggi. Per quanto la si voglia rendere sempre più esclusiva la cultura Urban è un linguaggio parlato dalla gente comune senza limitazioni social(i), economiche e culturali.
Andando indietro nel tempo possiamo notare come storicamente il muro è sempre stato “il giornale del popolo” e, di conseguenza, comunicare attraverso di esso vuol dire rimanere impressi per un lungo periodo nella mente delle persone. Che emozione si prova per te oggi a lasciare una tua opera in un muro di una città?
R: È sicuramente una soddisfazione. E se il lavoro rimane per un po’ di tempo entrando a far parte della città ancora meglio.
É sicuramente bello ripassare davanti ai propri disegni e mi fa piacere quando gli amici sparsi per il mondo mi mandano foto dei miei pezzi per farmi vedere che sono ancora li. A distanza di tempo ho una percezione diversa del mio lavoro, lo digerisco meglio.
Dal 14 Ottobre al 28 Novembre 2021 a Bologna si anima la Quinta Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro. Noi di Spine abbiamo pensato di creare una piccola guida per visitare tutte le location in modo pratico e funzionale.
Foto Industria in 48 ore
Guida Pratica
Dal 14 Ottobre al 28 Novembre 2021 a Bologna si anima la Quinta Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro. Noi di Spine abbiamo pensato di creare una piccola guida per visitare tutte le location in modo pratico e funzionale. Armatevi delle vostre scarpe più comode perchè ci sarà da camminare. Buona lettura!
Il progetto, ideato e curato dalla Fondazione MAST, ha come tema comune il cibo, argomento che coinvolge un fascia di pubblico molto ampia e variegata, che per questo si presta bene ad essere unita con il mondo della fotografia.
Le 11 mostre sono dislocate in vari palazzi storici e punti d’interesse culturale della città di Bologna. Ogni luogo dialoga con i lavori esposti e con l’allestimento scelto per presentarli. Niente di quello che vedrete è lasciato al caso.
Il tema del cibo è sviluppato attraverso una narrazione molto precisa, che sa di volta in volta quali corde toccare. Si parla di ambiente, degli esseri che lo abitano e dei cambiamenti che hanno vissuto. Gli attori principali sono l’uomo e ciò che lo circonda, attraverso una narrazione che racconta il rapporto che essi hanno tra di loro e lo sviluppo della tecnologia e dell’economia globale nel corso della storia. Si parla anche di industria, delle tecniche di produzione del cibo e dell’impatto sul mondo. Ogni mostra esprime nel suo piccolo una grande verità, facendoci sentire un campanello di allarme per qualcosa a cui, presto o tardi, andremo incontro.
Ecco le tappe del percorso che vi consigliamo:
Fondazione MAST, Via Speranza 42. Ando Gilardi – Fototeca
MAMbo, Via Don Minzoni 14. Jan Groover – Laboratory of Forms
San Giorgio in Poggiale, Via Nazario Sauro 20/2. Hans Finsler – Schokoladenfabrik
Palazzo Fava, Via Manzoni 2. Bernard Plossu – Factory of Original Desires; Herbert List – Favignana
Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna Palazzo Paltroni, Via delle Donzelle 2. Henk Wildschut – Food
Palazzo Boncompagni, Via del Monte 8. Vivien Sansour – Palestine Heirloom Seed Library
Palazzo Zambeccari, Via De’ Carbonesi 11. Mishka Henner – In the Belly of the Beast
Palazzo Pepoli Campogrande, Via Castiglione 7. Lorenzo Vitturi – Money Must Be Made
Università di Bologna Collezione di Zoologia, Via Francesco Selmi 3. Maurizio Montagna – Fisheye
L’amore, per quanto di tanto in tanto si tenti di ignorarlo, arriva per tutti.
A volte parlarne ci imbarazza, altre ci fa sentire stupidi e altre ancora sembra sia lui a evitarci. Tuttavia non importa la stagione in cui ci troviamo o gli anni che abbiamo: senza passare mai di moda appena ne ha l’occasione travolge il corpo e disordina la mente.
È così tanto inaspettatamente travolgente che sarebbe troppo bello anche solo pensare di poter avere tra le mani una guida all’innamoramento da poter consultare quando, senza preavviso, bussa alla nostra porta.
A tal proposito Madeleine Hannah, protagonista delle pagine de “La trama del matrimonio” di Jeffrey Eugenides, consiglierebbe di leggere “Frammenti di un discorso amoroso”.
Quel libro l’ha aiutata quando, tra l’amore folle di Leonard e quello discreto di Mitchell, il suo cuore era confuso tanto quanto la sua mente.
L’ha scoperto al corso di semiotica all’università e da quel giorno non è più stata in grado di separarsene.
Non era come gli altri libri, era più facile da comprendere e leggendolo trovava conforto. L’ha presa per mano accompagnandola in quella che inizialmente può sembrare la tipica storia di una relazione tormentata capace di risanarsi in poche pagine, ma che è invece il racconto dell’evoluzione dell’amore che da possessione e annullamento di sé diventa libertà e indipendenza.
Trovare libri che parlino d’amore in modo maturo e acuto è ormai più complesso di quel che sembri.
“La trama del matrimonio” di Jeffrey Eugenides e “Frammenti di un discorso amoroso” di Roland Barthes ne sono stati capaci.
Entrando in punta di piedi nella mente, come soltanto un buon libro sa fare, non terminano la loro esistenza con l’ultima parola dell’ultima pagina, ma continuano a vivere nella realtà di chi leggendoli sa comprenderli.
Dopo una lunga (ma non lunghissima) pausa estiva, abbiamo deciso che per tornare a intrattenervi con la nostro rubrica “Zoom” dovevamo per forza presentarci con un “coupe de theatre”. Sebbene i recenti successi sportivi ci suggeriscano un po’ di sano campanilismo, è un piacere per noi oggi dare uno sguardo oltre al nostro amato tricolore e presentarvi, in questo nuovo episodio, Mark Rogers: artista statunitense, originario di Portland – Oregon, pioniere ed esponente del Surrealismo Pop e del Realismo Magico.
Se non bastasse guardare i suoi dipinti per essere subito incuriositi dall’immaginario che racconta, potete trovare all’interno del Q&A presente nel suo sito (https://www.markrogersart.com/about) talmente tanti spunti creativi che potrebbe risultarvi difficile riuscire a strutturare una domanda ben precisa. Non vi neghiamo che anche per noi è stato così. Siamo riusciti però a divincolarci tra un’ abduction e l’altra, e a presentarvi in questa intervista quello che Mark ci ha raccontato.
Bentornati su Zoom, buona lettura.
In The Path of Totality – 24 X 34 Oil on Panel 2018.
D: Nello statement Pioners from Beyond presente sul tuo sito, racconti di come le storie che rappresenti all’interno dei tuoi dipinti siano frutto della commistione tra la tua immaginazione, il legame con la tua terra e, in piccola parte, le suggestioni fornite da tematiche più conosciute come ad esempio: La teoria degli antichi astronauti. Si sviluppa quindi uno scenario totalmente inedito dove le civette non sono certo quelle di Harry Potter (“The Owls Are Not What They Seem “) e dove personaggi di mondi ed epoche storiche differenti si uniscono e interagiscono tra loro in situazioni a volte più, a volte meno riconoscibili, creando però un mondo che, sebbene sia per noi estraneo e misterioso , risultato credibile e strutturato.
Ti va di raccontarci dove nasce questa tua passione per il mondo paranormale e quale delle tematiche che illustri ti suggestiona di più?
Sono sempre stato interessato al paranormale, ai fantasmi, ai vampiri, agli alieni, ai mostri, alla magia, alla stregoneria e a qualsiasi tipo di abilità paranormali. Non riesco a spiegare perché amo così tanto tutte queste cose, le adoro e basta.
Forse ero uno stregone in una vita passata.
Energy Cycle” – 16×20 Oil on Panel 2020.
D: Dopo aver osservato molti dei tuoi lavori, quello che più mi ha colpito, oltre alla presenza di personaggi cult come il Big Foot o il leggendario Uomo Falena, è la struttura della composizione di scena pittorica. Se mi dicessero che all’interno di una chiesa aliena in pianeta sconosciuto hanno ritrovato uno di questi dipinti non farei fatica a crederlo. I personaggi, così come gli oggetti e le azioni presentate, hanno un simbolismo studiato e ben preciso,lo stesso che possiamo trovare all’interno della pittura dei grandi maestri rinascimentali, con la leggera differenza che al posto di santi e icone religiose troviamo alieni,cowboys, coloni e robot.
Come mai hai scelto l’utilizzo di questo linguaggio pittorico più antico come mezzo per raccontare le tue storie?
Il mio stile artistico probabilmente è stato influenzato dall’educazione cattolica che ho ricevuto, un mondo che incarna alla perfezione il racconto artistico e il simbolismo. Mi sento come se fossi stato immerso all’interno dell’arte narrativa sin dalla più tenera età. In più ho sempre letto tonnellate di storie, quindi sono mi sento a mio agio con determinante dinamiche e personaggi.
La mia arte è incentrata su storie e personaggi che vivono in un mondo immaginario con un tema del vecchio western americano che io chiamo: The Southwestern Bellows.
Dream Harvest – 18×24 oil on panel 2021.
D: Molti tuoi dipinti presentano diverse analogie l’uno con l’altro creando così una storyline indiretta tramite la presenza di personaggi, ambienti e ritualità ricorrenti. Abbiamo poi piacevolmente scoperto che molti tuoi lavori sono spesso accompagnati da piccoli incipit dove si ha una vera e propria narrazione scritta della storia di cui siamo spettatori.
Quando costruisci una storia nasce prima il racconto che vuoi rappresentare oppure esso viene ispirato in un secondo momento ad opere conclusa?
Invento sempre prima la storia! Adoro le storie!
Dwelling Destroyer – 24×20 Oil on Panel 2019
D: Leggendo alcune informazioni sul tuo sito abbiamo letto che nel 2009, a Springfield, hai visto un UFO splendere nel cielo. Non possiamo quindi perdere l’occasione per farti questa domanda:
Secondo te esistono altre forme di vita nell’universo? Se sì, ci hanno fatto visita oppure non sanno della nostra esistenza? E ancora: le tipologie di extraterrestri che ormai “conosciamo” (Grigi, Rettiliani, Orbs) sono frutto della nostra fantasia o si basano su un fondamento di verità?
Credo che ci sia altra vita nell’universo, ma per quanto riguarda la tua ipotesi credo che sia buona quanto la mia. Guardo tutti gli “spettacoli alieni”, ascolto podcast e leggo libri sull’argomento, ma non ho teorie o risposte vere e proprie. Trovo che ogni fenomeno soprannaturale sia affascinante.
The Cottage – 18X24 Oil on Panel 2020
D: Vogliamo concludere questa breve chiacchierata togliendo per un attimo lo sguardo dal cielo e rimettendo i piedi per terra. Sono passati quasi due anni da un avvenimento storico che ha messo in standby il mondo come lo abbiamo sempre conosciuto aprendoci ad uno scenario tipico di film distopici e apocalittici: la pandemia globale.
Visto che la tua visione artistica sembra provenire da una prospettiva futura più o meno lontana, ti va di provare a immaginare come secondo te evolverà il mondo di fronte ai cambiamenti che stiamo vivendo?
In realtà, mi sento come se tutto il mio lavoro si svolgesse nel passato, o “fuori dal tempo” completamente. Le creature nei miei dipinti non hanno computer portatili o cellulari e nemmeno automobili. Nel nostro mondo così tecnologico, è rilassante per me visitare e immaginare questo posto. È come se fossi all’inizio del 1800. Sì, ci sono alieni mentalmente più avanzati che popolano il mio mondo immaginario, ma la maggior parte dei loro oggetti non sono tecnologici, sono magici.
Zoom 2.1 – Mark Rogers – EN
After a long (but not very long) summer break, we decided that in order to return to entertain you with our “Zoom” column we had to show up with a “coupe de théâtre”. Although recent sporting successes suggest a bit of healthy parochialism, it is a pleasure for us today to take a look beyond our beloved Italian flag and present, in this new episode, Mark Rogers: US artist, from Portland – Oregon, pioneer and exponent of Pop Surrealism and Magic Realism.
If it were not enough to look at his paintings to be immediately intrigued by the imagery he tells, you can find in the Q&A present on his site (https://www.markrogersart.com/about) so many creative ideas that it could be difficult for you to succeed in giving a structure to a very specific question. We do not deny that it was like this for us too. However, we managed to wriggle out of the several abductions, and to present to you in this interview what Mark has told us.
Welcome back to Zoom, enjoy your reading.
Q: In the Pioneers from Beyond statement on your site, you tell how the stories you represent within your paintings are the result of the mixture of your imagination, the bond with your land and, to a small extent, the suggestions provided by well-known themes such as: The Theory of Ancient Astronauts. A totally new scenario therefore develops where the owls are certainly not those of Harry Potter (“The Owls Are Not What They Seem”) and where characters from different worlds and historical periods come together and interact with each other in situations that are more or less recognizable, yet creating a world that, although strange and mysterious to us, is credible and structured in our eyes.
Would you like to tell us where your passion for the paranormal world is born and which of the themes you illustrate impresses you the most?
A: I have always been interested in the paranormal, ghosts, vampires, aliens, monsters, magic, witchcraft, paranormal abilities, you name it. I can’t explain why I love all these things so much, I just do. Maybe I was a warlock in a past life.
Q: After observing many of your works, what struck me most, besides the presence of cult characters such as Big Foot or the legendary Mothman, is the structure of the pictorial scene composition. If they told me that they found one of these paintings inside an alien church on an unknown planet, I wouldn’t find it hard to believe. The characters, as well as the objects and actions presented, have a designed and precise symbolism, the same that we can find within the painting of the great Renaissance masters, with the slight difference that instead of saints and religious icons we find aliens, cowboys, settlers and robots.
Why did you choose to use this ancient pictorial language as a means of telling your stories?
A: My art style probably is most likely influenced by my Catholic upbringing, which really embodies narrative art and symbolism. I feel like I was exposed to narrative art at a very young age, and I have always read tons of fiction so I resonate with characters. My art is all about stories and characters that live in an imaginary world with an American Old Western theme that I call, The Southwestern Bellows.
Q: Many of your paintings have many similarities, thus creating an indirect storyline through the presence of characters, environments and recurring rituals. Then we have pleasantly discovered that many of your works are often accompanied by small opening words where there is a real written narration of the history of which we are spectators.
When you build a story, does the story you want to represent first arise or is it inspired later when the work is finished?
A: I always come up with the story first! I love stories!
Q: Reading some information on your site we learned that in 2009, in Springfield, you saw a UFO shine in the sky. We cannot therefore miss the opportunity to ask you the following question:
Do you think there are other forms of life in the universe? If so, have they already visited us or are they unaware of our existence? And again: are the types of aliens that we now “know” (Grays, Reptilians, Orbs) the fruit of our imagination or are they based on a foundation of truth?
A: I do believe that there is other life in the universe, but as to what it is, your guess is as good as mine. I watch all of the “alien shows”, listen to podcasts, and read books on the topic, but I have no theories or answers. I find the entire phenomenon beyond fascinating.
Q: We want to conclude this short chat by taking our eyes off the sky for a moment and putting our feet back on the ground. Almost two years have passed since a historic event put on standby the world as we have always known it, opening us to a scenario typical of dystopian and apocalyptic films: the global pandemic.
Since your artistic vision seems to come from a more or less distant future perspective, would you like to imagine how the world will evolve in the face of the changes we are experiencing?\
A: Actually, I feel like all of my work takes place in the past, or “out of time” completely. The people in my paintings don’t have laptops or cellphones or even cars. In such a technological world, it’s relaxing for me to visit this place. It’s like the early 1800’s. Yes, there are highly advanced aliens that populate my imaginary world, but most of their technology is magick.
Promossa da Art City 2021 a maggio, la mostra è riuscita a spiccare tra le numerose proposte di quest’anno. Sicurezza e Protezione sono i temi principali toccati dall’artista. Ma non solo! Estremamente attuale rispetto al momento storico che stiamo vivendo, Aldo Giannotti affronta nei suoi lavori anche altri temi, come quello delle norme sociali, invitandoci a riflettere sul modo in cui possiamo modificarle.
Una delle sale della mostra è stata adibita a questo scopo, invitando il visitatore a creare l’opera con le proprie mani grazie a un laccio con il quale dare vita all’opera stessa, avvolgendolo intorno a dei punti segnati sulla parete. In questo modo l’artista richiama anche il tema della percezione fisica e della posizione del corpo rispetto all’opera, mettendo in discussione tutta una serie di dinamiche museali che pensavamo statiche e intoccabili. L’intero spazio è punteggiato da vari box contenenti delle istruzioni alle quali il visitatore è invitato a partecipare e a dare il proprio contributo all’opera, pensando fuori dagli schemi.
Tutto il periodo di apertura della mostra è stato costellato dai Satellite Events: eventi con performers e musicisti in cui il focus era l’interazione e la partecipazione degli spettatori da un punto di vista più soggettivo, il tutto sempre rispettando i temi cardine di sicurezza e protezione. Questa é stata la prima mostra antologica italiana di Aldo Giannotti, a cui seguirà “The grandstand” al Kunstpavillon di Monaco.
Nonostante il progetto si sia svolto nel corso del periodo estivo, Safe and Sound è stata una mostra che non ha fatto sentire il peso dell’afa bolognese, facendo trascorrere al visitatore un momento di leggerezza che sicuramente avrà lasciato un ricordo marcato, fra gli aperitivi e le giornate trascorse al sole della riviera.