In questo nuova edizione di Zoom, per intervistare l’artista che abbiamo scelto, abbiamo dovuto intraprendere un viaggio lunghissimo, abbandonando il pianeta Terra e attraversando lo spazio sconfinato. Siamo atterrati da qualche parte nell’universo, in un mondo molto simile al nostro, dove la terza dimensione viene annullata e dove succedono cose ai nostri occhi molto strane.
Ad accoglierci è stata Laurina Paperina, artista classe 1980, originaria di Rovereto, ma che ormai vive qui da diversi anni.
Le abbiamo chiesto di farci da guida in questo suo bizzarro pianeta e ne abbiamo approfittato per farle qualche domanda.

D: Osservando attentamente il tuo operato artistico si ha la sensazione che quello che racconti non appartenga alla dimensione in cui viviamo tutti i giorni. Allo stesso tempo, però, non si tratta nemmeno di qualcosa di così estraneo da impedirci di riconoscerlo. Infatti, leggendo la biografia presente sul tuo sito web, la prima cosa che ci è saltata all’occhio è che vivi a Duckland, un piccolo paesino da qualche parte nell’universo.
Non avendo mai sentito questo nome prima d’ora sono andato a cercare più informazioni su Google a riguardo e la prima risposta che il motore di ricerca mi ha partorito è stata quella di una catena di ristoranti asiatici specializzati, appunto, nell’anatra. Da qui si stagliano dunque due ipotesi. La prima è che tu viva effettivamente all’interno del ristorante, mentre la seconda è che il magico paese di cui parli e racconti non sia concretamente di questo mondo.
Ti va di raccontarci come nasce e si anima il tuo immaginario artistico? E se Duckland esiste davvero, dove si trova?
R: La cultura popolare è sempre stata pane per i miei denti. Sono cresciuta a pizza e Nesquik, addormentandomi davanti alla televisione guardando cartoons e film di serie B, leggendo le fanzine e giocando ore e ore con i video games. I film horror degli anni ottanta/novanta mi hanno influenzato molto, hanno fatto sì che venisse alla luce la mia vena splatter.
Anche l’arte contemporanea ha avuto il suo ruolo, artisti del passato come Bosch e Bruegel, visionari del cinquecento, hanno influenzato la mia ricerca: sono stati fondamentali per lo sviluppo della mia recente serie di opere intitolata Apocalypse Now, dipinti su tela dove affollatissimi scenari apocalittici si fondono con l’iconografia pop e la satira sociale.
Riguardo Duckland, è un posto che a volte c’è e a volte svanisce nel nulla, diciamo che è una sorta di bolla dove io mi immergo quando lavoro. Quindi potrebbe essere tranquillamente anche all’interno di un ristorante cinese 🙂

D: La tua serie di lavori di How to kill the artists trasmette, secondo me, uno dei messaggi più puri, trasparenti e attuali del panorama artistico contemporaneo. All’interno di queste animazioni si vedono artisti famosi su scala mondiale uccisi dalle loro stesse opere.
Nonostante quello che succeda sia surreale, il concept è strettamente aderente alla realtà. Molte volte gli artisti vengono “uccisi” dalla sacralità che l’ambiente artistico impone, cambiando il loro registro linguistico e obbligandoli spesso a “mistificare” ciò che in origine è fatto per necessità di esprimersi. Un po’ come l’episodio dei Simpson in cui Homer crea per errore un’opera quotata per poi sforzarsi di crearne altre senza ottenere risultati.
Quello che tu fai all’interno delle tue opere è un grande atto di libertà: raccontando sotto la tua personale chiave di lettura il mondo che ti circonda, rimani fedele al tuo immaginario senza mai sconfinare in un ambiente che non ti appartiene.
Come interpreti tu il mondo dell’arte, e in che modo un artista non deve mai perdere aderenza con ciò che lo circonda?
R: How to Kill the Artists è un progetto che porto avanti da qualche anno ormai. Si tratta di una serie di disegni e video animati che narrano l’ipotetica morte di artisti, arrivati ormai all’apice del successo e osannati dalla critica, per mano dalle loro stesse opere. È sia una celebrazione che un’ironica e brutale vendetta rispetto al mondo dell’arte contemporanea, che spesso viene preso troppo sul serio.
Non saprei cosa risponderti quando mi chiedi in che modo un artista non dovrebbe mai perdere aderenza con quello che lo circonda… Io posso dirti che faccio quello che faccio per necessità, perché attraverso le mie opere cerco di dare una mia visione al mondo in cui viviamo, dove personaggi inventati o “rubati e distorti” alla cultura popolare diventano un mezzo per riflettere sugli eventi del nostro tempo.

D: Ho sempre pensato che una persona che ha il desiderio di lavorare all’interno del mondo dell’arte poi, per vivere in pace con sé stesso e con il mondo, debba andare a dormire guardando i cartoni animati.
La mia affermazione è chiaramente una provocazione per sottolineare come troppo spesso si respiri un’aria pesante negli ambienti artistici e che di conseguenza, attraverso l’umorismo dissacrante di autori come Matt Groenig (I Simpson, Futurama) o Seth MacFarlane (I Griffin, American Dad), per fare un esempio, ci si debba alleggerire per non rompere inevitabilmente le doghe del letto.
Quanta ironia bisogna avere per interpretare il mondo che ci circonda e quanto invece ciò che ci accade va preso sul serio?
R: Penso che ognuno abbia un proprio modo per riappacificarsi con il mondo prima di andare a dormire e i cartoons sono un’ottima alternativa. Io lo facevo in gioventù, ora la mia ritualità per addormentarmi è azionare play sullo smartphone e guardare Friends, la sit-com anni ’90/’00, che per me è una vera e propria ninna nanna. Da anni ormai la metto in loop e nemmeno la guardo più, mi basta ascoltare le voci dei protagonisti e mi addormento come un sasso 😀

R: L’ironia è un’arma di comunicazione molto potente, può riuscire a capovolgere i punti di vista e a far comprendere le cose in maniera diretta ma comunque leggera, riuscendo a sdrammatizzare anche le situazioni più pesanti.
Parlando del mio lavoro, le mie opere hanno la caratteristica di avere un linguaggio semplice e immediato e questo mi permette di trattare anche i temi più cruenti con un atteggiamento cinico ma allo stesso tempo leggero.
Mi viene in mente quando abbiamo vissuto la prima quarantena a marzo 2020. Io in quel periodo non potevo andare in studio e nella casa in cui ero “reclusa” avevo a disposizione pochissimo materiale con cui lavorare in uno spazio molto ristretto, di conseguenza ho dovuto ridurre al minimo l’iter produttivo. Inizialmente ero così disperata e annoiata che mi era balenata in mente l’idea di fare un dipinto sui muri del salotto con la passata di pomodoro. Per fortuna però la mia razionalità ha preso il sopravvento e ho optato per una soluzione più classica, penna e taccuino, dove ho ho iniziato a disegnare queste mini “pillole di sopravvivenza” intitolate “Stay at home and…” che si sono poi trasformate in video animazioni, traendo ispirazione da quello che stavo vivendo in quegli interminabili giorni e cercando di sdrammatizzare questo folle periodo.
Quindi viva l’ironia!

Alessandro Assirelli